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LA PSICOLOGIA BUDDHISTA

La continua ricerca di appagamenti momentanei ed esteriori, la difficoltà nell’accettare l’impermanenza delle cose e la focalizzazione del proprio Io come centro universale ha inevitabilmente causato frustrazioni e sofferenze, riconoscendo che l’io non esiste riconosciamo che anche il mio è una parola senza sostanza ( Nagarjuna, 2° secolo d.C. ). Questo precetto fondamentale nella filosofia buddhista nel nostro caso segue un’ interpretazione meno dogmatica e più aperta alla finitudine di un Io che lascia il ruolo di padre padrone  per permettere uno scambio più fluido con la vita.

Nel pensiero orientale uno dei parametri più importati è il singolo istante della mente, ognuno di essi ha caratteristiche differenti ed ha il potere di influenzare la nostra visione delle esperienze e della realtà. I motivi che determinano i cambiamenti in ognuno di noi, percui, non sono gli accadimenti del mondo esterno quanto la qualità del nostro stato mentale e della nostra coscienza. La filosofia buddhista considera tre i veleni mentali la cui combinazione è causa di tutti i nostri stati afflittivi: l’illusione, l’attaccamento, l’avversione. Attraverso la meditazione si può arrivare a controbilanciare gli stati mentali negativi portando tranquillità e serenità. E’ importante trasformare i fattori mentali che creano dolore nell’individuo. Quando uno o più fattori si trovano all’interno degli stati mentali di una persona divengono tratti specifici della personalità che saranno sempre presenti nella sua esistenza. Per cambiare questi fattori una delle cause che bisogna trasformare sono le motivazioni che determinano le scelte di ognuno di noi. Un altro fattore che causa e mantiene la sofferenza mentale è la specifica relazione che le persone hanno imparato ad avere. La filosofia buddista sostiene che I fenomeni non esistono di per sè in quanto hanno natura di aggregati. Visione comune con la Fisica Quantistica.  Tutto ciò che riguarda la persona è un movimento, un processo in divenire. I cinque aggregati che caratterizzano tutti i fenomeni fisici e mentali dell’esistenza condizionata sono impermanenti e generano la idea illusoria di un Sé individuale , ma l’Io non è altro che una semplice designazione nominale, cioè un modo convenzionale di definire una persona. I fattori distintivi individuali sono determinati da cause e condizioni e non da un sé intrinsecamente esistente. L’individualità è un concetto convenzionale. Lo stesso Buddha confutò il principio di un’anima individuale ed eternamente esistente, contrapponendovi la teoria di una coscienza non individuale ed estinguibile. Secondo il buddhismo esistono due tipi di mente o coscienza. La coscienza base-di-tutto e la coscienza mentale intesa come aggregato dei desideri.
La coscienza base-di-tutto o coscienza fondamentale non è né permanente né discontinua ma si evolve in una corrente continua come il fluire di un fiume e forma senza interruzione una serie omogenea lungo tutte le vite successive. Si estingue quando non esistono più passioni attive né credenza in un sé individuale autonomamente esistente.

 

La mente ordinaria o coscienza mentale è considerata un normale organo di senso, è condizionabile dalla apparenza dei fenomeni e deve essere addestrata per liberarsi dalle visioni contaminanti delle passioni.Da qui la produzione delle passioni e delle emozioni distruttive che alimentano l’ego e generano confusione nella mente umana. Le visioni erronee possono essere contrastate orientando la mente al bene attraverso la meditazione, l’altruismo e la compassione.

Quantum-Entanglement

ENTANGLEMENT

La parola inglese “Entanglement” può essere tradotta in italiano , con il termine “intreccio“. È un fenomeno fisico-quantistico la cui definizione appropriata riporta a un legame “indissolubile” tra particelle, (principalmente fotoni), correlate o venute a contatto tra loro. Esse presenteranno un legame inscindibile anche a considerevoli distanze . Ogni intervento sul sistema, a partire dalla  semplice osservazione, provocherà il cambiamento di una delle due particelle ma, istantaneamente, causerà una modifica nell’altra a cui è legata. La suddetta reazione è indipendente dalla distanza esistente tra loro e dal fatto che possano trovarsi in due sistemi fisicamente isolati. Questo fenomeno è l’evidente manifestazione del “Principio di non località” che insieme al “Principio d’indeterminazione” di Heisenberg sono alla base della fisica quantistica. Un legame entangled tra due particelle , presuppone una “comunicazione” istantanea, vale a dire, a una velocità maggiore della luce ( 299.792.458 m/s ). Questo fatto portò A. Einstein, il padre della Relatività, a dileggiare il fenomeno considerandolo una ” azione fantasmatica a distanza”. Einstein in collaborazione con gli scienziati, Podolsky e Rosen, propose il paradosso EPR , con l’intento di esaltare i difetti della nascente teoria Quantistica.  Fu proprio in quell’occasione che Schrödinger (1935) coniò il termineEntanglement. Di seguito riposto la  spiegazione che diede del fenomeno:  “Quando due sistemi , dei quali conosciamo gli stati sulla base della loro rispettiva rappresentazione , subiscono una interazione fisica temporanea dovuta a forze note che agiscono tra di loro , e quando, dopo un certo periodo di mutua interazione , i sistemi si separano nuovamente , non possiamo più descriverli come prima dell’interazione , cioè dotando ognuno di loro di una propria rappresentazione” (Schrödinger, 1935).

 

 

 

La difficoltà nel poter concepire un tale fenomeno è data dal fatto che la nostra mente si è abituata a vedere in ogni evento un legame  causa-effetto. Al contrario,  il mondo quantistico, sembra avere una propria legge universale, cioè una legge di casualità . Ebbene, quando si considera il micro mondo delle particelle , la loro presenza  in un certo spazio o con  una certa quantità di moto è accertabile solo con un determinato scarto.

 

Molti fisici e filosofi sono stati affascinati e influenzati nel loro pensiero dai misteri quanto-meccanici. Uno dei più eleganti esperimenti , che verrà negli anni riprodotto e migliorato fa riferimento al medico e fisico Thomas Young  (1802). Una sorgente di luce era posta davanti ad una parete con due fenditure , al di là della quale era posizionato uno schermo fotosensibile. I risultati di Young dimostrarono che la luce come qualsiasi onda , interferiva con se stessa quando passava attraverso le due fenditure. Al tempo, la luce era considerata sia un’onda elettromagnetica che un corpuscolo. La teoria quantistica nacque un secolo dopo , grazie all’opera del fisico Max Planck , che propose un’idea di energia divisa in piccoli “pacchetti” , chiamati quanti. Nel 1905 Einstein utilizzò ilfenomeno fotoelettrico per dimostrare la ragionevolezza delle teorie di Planck, dando vita a un legame ancora più forte traipotesi ondulatoria e corpuscolare della luce . Nel 1924 De Broglie associava ad ogni particella massiva un’onda “pilota”, ma solo con l’opera di Schrödinger venne elaborata un’equazione atta a descrivere la propagazione dell’onda associata ad una particella. Siamo convinti che fare una scelta precluda ogni altra possibilità se non la scelta fatta, sappiamo, infatti, che non è possibile percorrere due strade nella stesso istante. Ma ecco cosa accadde quando negli stessi anni, l’esperimento di Young venne riprodotto , usando questa volta una sorgente tale da emettere un solo fotone alla volta . La figura di interferenza era ancora presente! Risultato: la particella interferiva con se stessa.. Nel 1983, il fisico Shih e il suo gruppo osservarono, grazie ai rilevatori, che nel momento in cui rilevavano in quale delle due fenditure il fotone fosse passato, la figura d’interferenza scompariva . Incredibile,Il fotone sembrava rendersi conto di essere osservato. Questo comportava che la particella potesse in qualche modo scambiare informazioni con il sistema e con i fotoni generati dalla sorgente.

 

Nel 1985, Alain Aspect dimostrò a livello microscopico la veridicità dell’entaglement. Grazie ad un atomo di calcio eccitato( la nostra sorgente ) , venivano emessi due fotoni correlati che si muovevano in direzioni opposte ( dir. A e B ). L’esperimento dimostrava definitivamente , con uno scarto minimo delle misurazioni,  la corrispondenza tra particelle correlate e l’effetto Entanglement . In fine, Anton Zeillinger, professore all’Università di Innsbruck, famoso per aver realizzato nel 1998 il trasporto quantistico con i fotonientangled , riuscì a dimostrare sperimentalmente che anche elementi massivi , quali i neutroni , assumevano una figura d’interferenza nell’esperimento della doppia fenditura . I risultati ottenuti confermaro nuovamente la teoria di De Broglie.

 

L’affascinante mistero quanto-meccanico continua ancora oggi a coinvolgere scienziati e lettori. La difficoltà nel comprendere certi fenomeni non dovrebbe spaventarci, quanto invece spingerci a continuare gli studi e le osservazioni. Dietro a questo grande velo , si nasconde meravigliosi mondi  da esplorare .

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Kalon

Nel nostro “andar per questa vita”, poco ci soffermiamo a filosofeggiare sul significato ultimo delle cose, eppure è nell’investigare che si comprende la struttura della nostra cultura, del nostro apparato cognitivo e il nostro animo.

 

Il concetto della bellezza, per esempio. Malgrado sia un termine di uso comune la bellezza è un concetto sfuggevole, la cui denotazione è piuttosto complessa.  Il motivo è la sua  dipendenza da un intreccio difficile da analizzare se non con il rischio di perdersi nei meandri della mente, della cultura e delle influenze educativo-stilistiche.

 

La definizione oggettiva di bellezza è più facile da inquadrare in quanto determinata da qualità che fanno riferimento a  canoni  specificati dalla cultura e dal tempo storico, nei quali troviamo il nostro codice di lettura.

 

In questo articolo intendo riferirmi al giudizio estetico col quale percepiamo e definiamo certe opere d’arte e gli oggetti. Di cosa parliamo? Semplice, di quelle qualità che, a livello soggettivo, sentiamo come  positive e piacevoli.

 

Gli studiosi hanno cercato di chiarire questo concetto attraverso due punti di osservazione differenti. Dapprima hanno considerato come punto d’interesse l’opera d’arte e il giudizio soggettivo, successivamente, hanno messo al centro dell’attenzione i ragionamenti dell’artista e del fruitore.

 

Anticamente i Greci e i Romani   consideravano la bellezza una caratteristica intrinseca del dipinto  e di alcuni oggetti. L’idea  non si discosta dalla lettura che viene data dai bambini  piccoli in merito ai disegni e ai dipinti. Noi contemporanei, diversamente dai nostri avi,  diamo maggiore importanza all’individuazione del significato veicolato dall’opera artistica, più che alla semplice forma estetica.

 

Platone e Aristotele al criterio di  “bello” accostavano quello di  “vero”, i Greci consideravano tutto ciò che era “bello” anche “buono”. Sebbene siano passati secoli, la visione  del mondo antico influenza ancora oggi la nostra “forma mentis”, tanto che, inconsciamente,  tutto ciò che per noi è bello gli facciamo corrispondere anche  la valenza di buono, giusto e vero. La bellezza è considerata espressione della realtà istintuale, di contro, la bruttezza rappresenta la forza distruttrice dell’istinto di morte (Freud).

 

Pensiero arbitrario e ingannevole.

 

L’attrattiva non è appannaggio solo delle qualità dell’oggetto, la si può individuare  anche nella relazione tra l’osservatore e l’oggetto osservato.

 

Secondo la Segal, il piacere estetico nasce dall’identificazione con l’opera  e con il mondo interno dell’artista.Il concetto di  bellezza deve passare dal nostro apparato cognitivo per essere interpretato, così esso è soggetto a variare  con l’avanzare dell’età: i bambini piccoli pensano che essa sia una proprietà oggettiva di ciò che osservano, solo lentamente si sviluppa una concezione relazionale. Molti esperimenti hanno dimostrato come un elemento importante di attrattiva risieda nella capacità di riconoscimento da parte degli osservatori, per tale ragione nelle opera di arte moderna come il cubismo la difficile decodificazione delle figure umane all’interno delle opere ha elicitato numerosissimi dissensi nel fruitore comune. I risultati di molti esperimenti svolti al fine di osservare le reazioni delle persone hanno fatto emergere quanto la valutazione sulla bellezza fosse positiva se il canone di riconoscibilità della figura umana risultava di facile lettura, al contrario, se l’opera d’arte  era caratterizzata da complessità pittorica allora il gradimento diminuiva drasticamente.Il godimento di un’opera d’arte comporta un’esperienza estetica determinata non solo dalla visione dell’opera ma anche mediata cognitivamente da una serie di variabili: il contesto di fruizione (per esempio il museo), la cultura di appartenenza, la familiarità con prodotti artistici, i canoni estetici tipici del contesto storico, sociale e culturale.

Il significato di un’opera non può essere attribuito solo all’attivazione di una popolazione di neuroni del cervello del fruitore, vengono implicate anche sovrastrutture di tipo cognitivo, le emozioni.Alla fine quando guardiamo un oggetto, quello che ci importa davvero  è quanto quell’opera risuonerà con il nostro mondo esperienziale ed emotivo  e quali forme di piacere possiamo sperimentare nella creazione o fruizione, perchè non si tratta solo di piacere estetico, è molto di più.

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ACINETOPSIA

Quando c’è l’imperfezione nella perfetta macchina funzionante che è il corpo umano, qualcosa comincia ad incepparsi; può essere qualcosa di lieve che può passare quasi  inavvertita,  fino a qualcosa che causa delle vere e proprie disabilità. Nel nostro vivere diamo per scontate molte cose perché siamo abituati al loro perfetto funzionamento. Non prendiamo in considerazione che tutto può cambiare,  una frazione di secondo, all’improvviso, la vita che avevamo prima non esiste più e ci ritroviamo a fare i conti con l’imprevisto e l’inevitabile. Questo di cui vi parlerò è uno di quei casi. L’area Medio-Temporale (MT) è localizzata all’interno del nostro cervello in una  frazione del lobo temporale, pur piccola è una zona molto importante per la coscienza in quanto permette la percezione  dei movimenti  di tutti gli oggetti animati e non. Per la teoria dei Nodi essenziali il danno a specifici punti del cervello causa nell’individuo diverse incapacità di sperimentare un aspetto essenziale del proprio ambiente senza per questo perdere la capacità generale. Un esempio è l’Acinetopsia, o cecità al movimento, è una patologia rara e irreversibile associata alla percezione, conseguente alla distruzione dell’area MT. Questo disturbo non va ad intaccare la capacità visiva, gli oggetti immobilivengono, infatti, riconosciuti con facilità, questo non accade, però, quando gli stessi oggetti sono in movimento. Ad esempio, se una persona affetta da Acinetopsia entra in un bar per prendere un caffè, riconoscerà la tazzina sul bancone ma non lo zucchero che cade nel caffè, allo stesso modo non riconoscerà persone e mezzi di trasporto che si muovono per le strade. Ogni oggetto in movimento sarà percepito con l’effetto di un’immagine “congelata”.  immaginate di guardare il mondo come se foste in una discoteca dove l’unica fonte di illuminazione sono le lampade stroboscopiche, quale sarà la vostra percezione dell’ambiente circostante? Un insieme di fotogrammi, ovvero di immagini immobili delle persone che vi circondano. I danni neurologici della zona Medio-Temporale del cervello può essere dovuta ad ictus, a un attacco di cuore, ad un intervento di chirurgia cranica, nel caso in cui il danno fosse conseguente all’assunzione di farmaci antidepressivi, il problema si risolverà alla cessazione del consumo del farmaco. Gli effetti dei danni neurologici causati dalla distruzione dell’area MT e delle zone limitrofe sono stati studiati cominciando ad osservare il caso di una paziente neurologica (L.M.) che aveva avuto un ictus che le danneggiò proprio l’area MT. Il caso riportato qui è stato seguito da Semir Zeki Professore di Neurobiologia alla College University di Londra e fondatore dell’Istituto di Neuroestetica a Berkeley in California, Riporto il referto originale, così da potersi rendere  conto con più chiarezza del correlato clinico: L.M.  aveva difficoltà, per esempio, a versare le bevande in una tazza o in un bicchiere perché il liquido appariva come materia immobile e compatta, come un ghiacciolo. Inoltre, la paziente a causa dell’incapacità a percepire il movimento nella tazza non smetteva di versare il liquido al momento giusto con conseguente fuoriuscita del liquido. (fonte: A. De Giorgio)

 

La paziente lamentava poi problemi a seguire un dialogo, incapace com’era di vedere i movimenti della faccia e, in particolare, della bocca dell’interlocutore. In una stanza dove più di due persone camminavano, la paziente si sentiva insicura e a disagio, e in genere usciva immediatamente di stanza perché “le persone si trovavano all’improvviso qui oppure là, ma io non le avevo viste muoversi”. La paziente incontrava lo stesso problema, ma con un grado ancora più marcato , nelle strade o nei luoghi affollati, che pertanto evitava il più possibile. Non riusciva ad attraversare la strada per l’incapacità di valutare la velocità di un auto, che pure identificava senza problemi. “Quando guardo la prima volta la macchina, sembra distante. Ma quando decido di attraversare la strada me la ritrovo tutta a un tratto vicina”. La paziente ha gradualmente imparato a stimare la distanza di veicoli in movimento dal rumore che si fa via via più forte. “ Il deficit di riconoscimento del movimento lascia intatte le capacità  percettive del colore e della forma e l’acuità spaziale tanto che  L.M. riconosceva, senza difficoltà le luci intermittenti. Il nome  della patologia, Acinetopsia, fu coniato proprio dallo studioso delle correlazioni mentali soggettive Samir Zeki.

Questo è uno dei numerosissimi disturbi debilitanti la nostra quotidianità, è proprio prendendo coscienza di ciò che ogni giorno dovremmo cominciare una nuova giornata con un senso di gratitudine e gioia anche nei momenti difficili.

 

 

 

Per chi fosse interessato ad approfondire il lavoro di S.Zeki

 

Profilo: http://www.ucl.ac.uk/cdb/research/zeki

 

WIKIPEDIA: http://it.wikipedia.org/wiki/Semir_Zeki

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LA MORTE NASCE

Cerchiamo la morte nell’assenza

spesso è nella presenza che qualcosa silenziosamente e ineluttabilmente muore.

Muore la felicità in un amore negato,

muore la speranza nell’indifferenza,

muore il rispetto nella violenza,

muore la pace nell’odio.

Ma come  ogni estremo ha la sua controparte

anche la morte è fautrice di nascita.

Nello stesso istante in cui la morte muove i suoi passi diventa madre di nuovi figli,

e come la notte fa spazio al giorno

e il buio alla luce

così gradatamente la morte accompagna la vita.

L’una senza l’altra nulla sarebbero

perché in ognuna l’altra trova il suo significato.

Romana Prostamo (2014)

Nota: l’immagine è a cura di Megafoto

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MINDFUNLESS

L’uomo per quanto si sforzi non riesce ad avere una mente razionale e meccanica, al contrario, tutti i fattori mentali possiedono delle caratteristiche uniche che influenzano totalmente le esperienze e la lettura della realtà che diventano così interpretazioni strettamente soggettive. La riflessione su questo aspetto fondamentale, porta a considerare che tutti i cambiamenti di percezione e di interpretazione degli accadimenti dipendono in realtà dal mondo interno all’essere umano, assoggettato alla predisposizione mentale nell’istante in cui un determinato accadimento prende forma.Il Buddha dice “Tutti i fenomeni sono preceduti dalla mente. Quando la mente è compresa, tutti i fenomeni sono compresi” (Santideva, 1961).

La tradizione buddista ha strutturato una mappa precisa  delle rappresentazioni mentali e del suo funzionamento, e intorno a questi assunti ha elaborato le vie per il cambiamento, formulando  tecniche finalizzate al controllo dell’individuo sui propri mutamenti. La Mindfulness  letteralmente “Sati” in lingua pali vuol dire “consapevolezza”, la consapevolezza momento per momento del proprio presente senza giudizio. La Mindfulnessrappresenta l’intervento di tradizione buddhista più completo ed efficace, il più antico, e nello stesso tempo più rivoluzionario. Il cuore degli interventi è basato  sulla consapevolezza, uno stato che porta in sé una grande forza, e l’attenzione, che è consapevolezza focalizzata, è ancora più potente. Il divenire semplicemente consci di ciò che ci accade è il punto di partenza dal quale partire per liberarci dalle preoccupazioni e dalle emozioni difficili.

Mindfulness si trova nel silenzio profondo, nella quiete e nell’apertura del cuore. Questi processi sono derivanti dalla profonda consapevolezza del momento presente scevra dal giudizio, maturata nel dialogo interiore con se stessi in modo diretto. Migliorare la relazione con il proprio Sé comporta migliorare la relazione con tutto quello che circonda l’individuo e con le altre persone. L’interesse per questa diversa visione dell’uomo e della vita scaturisce dalla presa di coscienza, che per quanto le scienze e le metodologie terapeutiche da esse derivate siano basate su studi rigorosi e osservazioni empiriche, c’è l’esigenza di integrarle con approcci che diano valore alle componenti innate dell’essere umano. Queste componenti possono essere ricercate nell’accettazione dell’esperienza, nel pensiero, parola e atto compassionevole verso ogni forma di sofferenza compresa la propria. Nell’essere capaci di auto-osservarsi senza formulare giudizi, nel comprendere che la mente può essere testimone delle sue manifestazioni e da questo conoscere la propria natura.

Nella psicologia buddhista uno dei parametri più importati è il singolo istante della mente, ognuno di essi ha caratteristiche differenti ed ha il potere di influenzare la nostra visione delle esperienze e della realtà. Proprio per questa ragione i motivi che determinano i cambiamenti in ognuno di noi non sono gli accadimenti del mondo esterno quanto la qualità del nostro stato mentale e della nostra coscienza.

Attraverso la meditazione si può arrivare a controbilanciare gli stati mentali negativi portando tranquillità e serenità. E’ importante trasformare i fattori mentali che creano dolore se si vuole raggiungere un profondo stato di serenità e  amorevole gentilezza verso tutte le forme di vita.

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IL LUTTO NEL MONDO DEI BAMBINI

Quando si affrontano discorsi sulla perdita si tende a pensare esclusivamente alla morte, vorrei evidenziare che l’elaborazione del lutto comprende un ben più vasto campo di significati: un genitore che si separa, la perdita della propria casa, il trasferimento in un’altra città o semplicemente lo smarrimento del pelouche preferito .Tutti gli eventi che in qualche modo ci colgono impreparati hanno, come peculiarità, un particolare grado di traumaticità In generale, gli adulti tendono ad avere atteggiamenti di evitamento o di rifiuto di fronte a questi accadimenti. Poche sono le persone che dopo aver subito una perdita decidono di volerne affrontare l’impatto emotivo chiedendo sostegno a uno psicologo Molti, in effetti, cercano di convincersi di aver superato la sofferenza accantonando l’esperienza in un angolo buio della mente o sforzandosi di dimenticare in fretta. In base alla mia esperienza, questo tipo di atteggiamento radica ancora di più il lutto e lo rende subdolamente pervasivo nella quotidianità, trasformando, inesorabilmente, poco per volta la persona e il suo ambiente. In genere per prevenire problematiche dovute alla non elaborazione del lutto bisognerebbe non far passare più di due settimane prima di rivolgersi a uno specilista. Se malattia e morte sopraggiungono ai membri più stretti del gruppo familiare, gli adulti si elevano a censori nei confronti dei minori, nella convinzione che l’infanzia debba essere preservata a tutti i costi da tutte le fonti che elicitano dolore. In realtà, questo atteggiamento che stimola maggiormente la curiosità dei bambini porta ad ottenere il risultato opposto. Col tempo si è cominciato a comprendere che uno dei risultati più devastanti del tabù sul lutto consiste proprio nel lasciare solo il bambino di fronte all’angoscia da esso derivante. Gli adulti, di fatto, sono molto distanti dai contenuti ideativi infantili riguardo questo argomento; in realtà, loro riescono ad essere più profondi e evoluti di quanto i grandi possano ipotizzare. Le errate convinzioni “dei grandi” li portano a sottovalutare le domande dei bambini , a fornire pochissime spiegazioni e, ancor peggio, a sviare il discorso lasciando dei vuoti che, invece, sarebbe opportuno colmare; ciò permetterebbe l’acquisizione graduale di cognizioni utili allo sviluppo di nuove consapevolezze. Malattia, atti cruenti, morte sono esperienze che fanno parte della vita di ogni giorno a tutti i livelli dell’esistenza, malgrado ciò, questi accadimenti non ci trovano mai abbastanza preparati, e il percepirli con un senso di ingiustizia, inevitabilità, impotenza, non predispone a considerarli meno portatori di dolore e paura. L’età infantile non è immune all’eterogenea portata emozionale conseguente a queste circostanze. La Anthony (1975) sostiene appunto che “Il pensiero della morte può determinare ansia nei bambini ad un’età molto tenera, senza che la loro conoscenza limitata li porti a misconoscere la vera natura del fenomeno”. Tempo e morte sono concetti strettamente interconnessi, interagiscono in un movimento armonico continuo, Wallon (1970) raccolse numerose antinomie di pensiero dovute alla difficoltà dei bambini di concepire il tempo come concetto scisso dalla propria esistenza. Secondo la Anthony, il bambino riesce a comprendere il significato della morte solo quando acquisisce i più elementari concetti temporali ed è così in grado di spiegare i fenomeni naturali, cioè non prima dei 3-4 anni. Anche il bambino molto piccolo rimane colpito da questa esperienza, dal momento in cui essa è legata a una vasta gamma di rappresentazioni dell’angoscia da separazione e di perdita causate dai dettagli percettivi legati a tale avvenimento. Giocoforza, non possono che diventare pregnanti sia nella sua esperienza cognitiva che nella sua esperienza affettiva. Pur apprendendo dal proprio contesto sociale le strategie per rispondere alle esigenze dell’ambiente esterno i fanciulli sono dotati, diversamente dagli adulti, di un’analisi qualitativa esclusiva dell’infanzia, che, personalmente, chiamo “allargata e poetica “; un deposito eterogeneo di potenzialità creative e sagge consapevolezze, capaci di stupire e disarmare gli adulti. Queste peculiarità li dispongono verso una maggiore reattività e a un senso minore di evento subìto, vissuto più come mediato e ragionato col “senso della vita”. Queste facoltà sono ulteriormente sviluppate se al loro bisogno di comprensione e di sostegno nella sofferenza ci sono adulti consapevoli che comprendono l’importanza di avere un dialogo aperto e sincero con loro. Secondo la Furman, se nell’ambiente familiare e scolastico i bambini crescono accanto a persone che li seguono nella comprensione di questi eventi, cominciano, sin dall’età di due anni, a sviluppare un concetto concreto della morte, imparano così a distinguere fra la separazione dovuta a un lutto, quindi irreversibile e definitiva, dalle separazioni momentanee. In base ad un’analisi accurata, le credenze che il bambino costruisce nel suo interno, dipendono dalla connessione fra i processi di assimilazione e accomodamento che egli intrattiene con i genitori e, la relazione tra questi processi complementari e la sua visione personale della vita. Altre consapevolezze giungono per tappe cognitive, l’una riguarda la distinzione tra il morire e il dormire che non sopraggiunge prima dei 4-5 anni, l’altra è l’universalità della morte. Al fine di sostenere i bambini nell’elaborazione di un lutto è necessaria una ristrutturazione emozionale da parte del genitore che sta vivendo lo stesso trauma, in modo da essere emozionalmente in sintonia col livello cognitivo e percettivo del fanciullo. Di fatto, il problema del lutto può essere un’esperienza traumatica nei primi anni di vita (4-6 anni), il fatto che sia derivante dalla paura della separazione la rende prodromica di conflitti interiori e di angoscia. Nei bambini di 8-9 anni potrebbe essere percepita come aggressione nel momento in cui il fatto è subito e non scelto, oppure, in entrambe i casi, potrebbero coesistere i due fattori percettivi. La perdita comporta un lavoro psichico faticoso e difficile per tutti, adulti e bambini. La qualità dell’impegno che si mette nell’elaborarla può renderla traumatizzante oppure, senza togliere significato al dolore, suscettibile di nuove consapevolezze.

Articolo di Romana Prostamo settembre 2014

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A TE

Nel buio ti vedo forma lieve.

Eppure ti ho perso.

Svanita senza voltarti.

Spettro del sentimento fuggito

Cristallizzato nel suo diniego.

Non c’è riconciliazione né salvezza

nell’inviso riconoscimento del reciproco affanno

nel vederti andar via la luce ha svenduto la sua natura

In quella forma opaca l’amore si è addormentato

Nel cercare risposte troppa pena lo ha dilaniato

E infiniti giorni

mi hanno sorpreso a misurare  distanze

che solo le lacrime hanno colmato.

Oggi ti vivo in punta di piedi

per non spezzare un filo sottile

per non rivederti un’altra volta sparire.

Parlami così che nella nebbia possa trovare una forma

guardami così che riesca a salvarmi.

Poesia di Romana Prostamo nella raccolta “Sentire”

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UN GIORNO

Quando ti guardo

penso alla mia vita.

Cerco negli angoli nascosti il suo significato.

Avvicinando il mio orecchio al tuo cuore

ne comprendo la trama.

Non so se un giorno,

quando arriverò alla fine del mio universo,

mi sporgerò in avanti in attesa di un Io felice.

So che ora sono qui di fronte a te Vita,

a farti mille domande

e desiderare una sola risposta,

quella giusta.

Non so se un giorno,

guardando oltre le spalle degli antichi,

riconoscerò la storia che mi ha dato forma.

Non so se un giorno,

tutto il mondo che per me era scritto,

riuscirà ad essere la pietra su cui poggio

e il genitore della mia felicità.

So che ora sono qui, di fronte a me

e l’immagine riflessa,

spogliata dell’incertezza,

rivela chi davvero io sia,

Pensiero.

Raccolta di poesie 2014 di Romana Prostamo

Opera di: Julia Watkins

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L’ALBA DI UN SOGNO

Il mio sogno finisce all’alba.

I timidi bagliori ne confondono i contorni

e rimandano il copione a una notte futura.

Nato sotto le stelle cobalto,

muove i suoi passi nella quiete dell’abbandono.

L’anima sostituisce l’azione agli occhi

e  sinuose figure nascono.

Una volontà non riconosciuta decide per noi

così, sul palcoscenico dell’onirico mondo,

recitiamo un copione non nostro.

Attori di speranze parlate

riempiamo l’aria di suoni muti.

Chi dice che il buio fa paura?

Mi spaventa di più l’inutile attesa di un abbraccio,

e un amore che non trova meta.

Nel sogno chiamato Vita,

giorno dopo giorno, passo dopo passo,

cucio a questo incanto la sua anima

sì che questa unione  mi mostri il suo significato.

Poesia di Romana Prostamo raccolta 2014